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L'arte e la storia

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Benvenuti a Villa Gromo, un magnificente intreccio di Arte, Storia e Cultura; un armoniosa architettura che si eleva in un terreno di vasta proprietà ai piedi del monte "Canto" nella provincia bergamasca.

Notizie di documenti e di date precise non fissano in modo sicuro il tempo della costruzione, ma gli elementi architettonici e l'impostazione d'insieme fanno presumere la sua origine ad un periodo di tempo fra i due secoli XVII e XVIII. Notizie invece rintracciate dalla proprietà nel tempo, affermano il nome che eresse il pregevole edificio: i Conti Zanchi già iscritti nel libro della Nobiltà Veneta sotto il nome di Zanchi de Locatelli o Zanchi de Zan.

E' da dedurre che la parola "Zan" si riferisca indubbiamente al nome di Alzano Lombardo, un paese nella Valle Seriana, già sede del Vicario al tempo della serenissima.

Dagli Zanchi la proprietà dei terreni e della Villa passò, verso la metà dell'ottocento, ai nobili Finardi,  e più tardi alla Signora Stampa di Vicosoprano in Val Bregaglia, consorte del professore La Torre di Roma e infine al figlio dottore Ferdinando fino al 1947, quando fece acquisto del complesso degli stabili il Conte Antona Traversi, già conte a Meda (MB), i cui eredi ancor oggi ne detengono la proprietà.

Superato il cancello di ingresso, la stupefacente struttura della Villa appare in fondo  ad un anfiteatro di alberi secolari, disposti in modo da creare due quinte teatrali al nobile edificio. Il bellissimo giardino e le sue piante isolano completamente lo spazio interno ed invitano a fermare l'attenzione sulla costruzione d'imposizione aristocratica, dove il tenue colore della facciata si accoppia mirabilmente con il verde della natura.

 

 La struttura benchè oggi si presenti nel tipico impianto U delle ville Lombardo-Veneziane, è frutto di manipolazioni e aggiunte strutturali avvenute nei secoli, ciò ci è fatto principalmente notare dalle due ali laterali, più basse del corpo centrale senza alcuna giustificazione estetica o funzionale, oltre a essere  apparentemente del tutto simili tra di loro, ma che presentano, specialmente al loro interno, differenti stili architettonici.

Attraversando il cortile principale, e incontrando il bellissimo scalone si fanno notare sotto le due ali i portici a colonne binate che danno accesso a sinistra ai rustici, dove un tempo vivevano i contadini che lavoravano le terre circostanti, mentre a destra un'ulteriore corte con una cancellata che nei primi anni della costruzione rappresentava l'ingresso principale, ove tutt'ora risiede la cappella gentilizia.

 

La facciata principale  formata da un elegante porticato a sette luci sopralzato,  e chiuso da una bellissima balaustra in pietra arenaria, estratta dalle stesse cave bergamasche, ci accoglie e ci invita ad attraversare le sue vetrate dove veniamo accolti dai saloni e dai salottini mirabilmente affrescati.

Veniamo cosi attratti e stupidi da una costellazione di sale decorate dalle pareti alle volte a padiglione, da densi affreschi ornamentali vividi di tono e ricchi di scomparti architettonici di geniale fantasia e inventiva. Figure simboliche, cariatidi, finte balaustre, scorci di colonne, aeree prospettive, cartigli, sagome, cornici e infine composizioni figurative centrali, denotano il carattere della pittura decorativa tipica del periodo del secolo XVIII che corre tra il 1720 1750.

Di particolare imponenza si presenta il salone principale, ove, pur nella ricchezza degli ornati, negli accostamenti di forme, profili, movenze, con rilievi di cornici, abbellite da linee curve di timpani, cartocci, vasi e policromie di fiori, si avverte un estasiante equilibrio di insieme, che attrae ed avvince. In degradati sfumati giochi di nuvole e di trasparenze, si adagia così in alto, dominando la sala, una brillante composizione mitologica "Paride e la mela della discordia", di riposante serena vaporosità.

Così, nei salottini circostanti, anch'essi totalmente abbelliti  e arricchiti da affrescature di grande pregio e mirabile fattura, ove incontriamo, grottesche, figure di fauna e flora, prospettive, cornicioni e ulteriori allegorie sempre slanciate nelle volte.

Quali possano essere stati gli artisti che hanno eseguito questi lavori di abile bravura e di eletto gusto non ci è dato sapere con certezza, studi e rilievi identificano prevalentemente, nell'arte di Villa Gromo i tratti distintivi della scuola del ticinese Carlo Innocenzo Carloni, che a Bergamo aveva dipinto negli anni 1747-48 le volte delle chiese di S. Antonio Abate e di S. Michele dell'Arco.

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